Assistenza educativa. Parlano gli OEPAC

 

Un’operatrice racconta la situazione di assoluta precarità che ha caratterizzato quest’anno scolastico, tra continui cambiamenti e difficoltà organizzative.

“È il 2024. Viaggiamo verso i clamorosi obiettivi 2030, li ascoltiamo, ne parliamo, cerchiamo di educare i bambini nelle nostre classi a questi meravigliosi goals di equità, istruzione per tutti, inclusione…

Poi ci sono le leggi, ben fatte anche quelle, che dalle classi differenziate sono passate all’handicap, alla 104 e poi, finalmente, al profilo di funzionamento, predisposto secondo i criteri di un modello bio-psico-sociale di funzionamento della persona e della salute (ICF) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), necessario ai fini della formulazione del Progetto Individuale 2000.

Perché, diciamocelo, secondo un funzionamento bio-psico-sociale siamo tutti disabili, almeno temporaneamente, in alcune stagioni della vita! Chi non ha avuto difficoltà biologiche, psicologiche o sociali e bisogno di assistenza almeno una volta?

Sembra tutto bellissimo e fatto benissimo…

Il Regolamento che disciplina l’assistenza educativa dei bambini certificati nelle scuole di Roma Capitale riporta:

È obbligo dell’Amministrazione capitolina, in ogni sua articolazione, anche municipale, porre in essere tutte le iniziative, le misure e gli strumenti volti a garantire a tutti gli alunni e le alunne con disabilità l’effettiva attuazione del diritto allo studio, all’istruzione e all’inclusione scolastica, in ossequio alle disposizioni di rango internazionale, costituzionale e nel rispetto delle fonti primarie vigenti in materia. Sono da considerarsi improprie e illegittime tutte le misure che prevedano: un range predeterminato di ore assegnabili; la compressione degli interventi per l’inclusione scolastica in favore degli alunni e delle alunne con disabilità per esigenze di finanza pubblica”

Poi ci caliamo nella realtà dell’assistenza educativa che, ad oggi, vi assicuro, è molto triste e sta ricadendo proprio sui nostri assistiti e sull’impegno, la professionalità, la passione che ci mettiamo ogni giorno per assisterli.

E ci vuole davvero tanta passione per continuare svolgere quest’attività! Una persona non viene a lavorare per 8€ nette l’ora, dalle 30 alle 36 ore settimanali, con un contratto da fame, alle dipendenze di una cooperativa, senza stipendio durante tutte le festività (Natale, Pasqua) e in estate, senza poter avere a fine mese un’autonomia finanziaria e, cosa addirittura più grave, senza sentirsi incluso/a nell’ambiente scolastico, nel team con cui si lavora ogni giorno, del quale dovremmo essere la figura ponte, di comunicazione, fondamentale, decisiva come le altre nella programmazione, progettazione degli interventi, informazioni, riunioni, colloqui che riguardano il bambino che seguiamo.

Lavoriamo nella scuola, ma non siamo figure scolastiche.

Come si fa ad educare, insegnare l’inclusione, se il team che ruota intorno al bambino non è inclusivo per antonomasia?!

Ma veniamo al peggio, perché quest’anno la spaccatura tra scuola, dipartimenti educativi, cooperative e comuni è diventata una voragine ed il problema di base non è una questione ideologica su cosa possa funzionare meglio o peggio, in termini di strumenti e strategie per l’inclusione, l’autonomia e la comunicazione, non è il diritto allo studio, ma una cosa sola: i soldi!!!!

Allora il Comune, contro quello che esso stesso aveva dichiarato, comunica alle cooperative che non paga le ore in cui il bambino è assente, che non è più possibile rimodulare il servizio con la programmazione e la progettazione degli interventi o rimanendo a disposizione della classe stessa per i bisogni educativi speciali o, ancor meglio, assistendo un secondo bambino (che, di norma, tutti abbiamo).

Le cooperative (e qua ci sarebbe da fare dei bei distinguo tra quelle vere e quelle che di cooperativo hanno solo il nome) rimangono spiazzate, perché poi le assenze possono essere molteplici (malattie, motivi familiari personali importanti, ricoveri, terapie asl ), non sanno come gestire la cosa, i dipartimenti socio educativi non parlano. E qui iniziano i disastri e degradi ulteriori, che mettono in discussione tutta la nostra professionalità e colpiscono direttamente il disabile e la sua famiglia.

Sì, perché ora, se il tuo bimbo è assente, inizia un vero teatrino: sei in classe ed aspetti, perché magari è solo in ritardo. Poi, quando capisci che non arriverà, dovresti essere informato se si tratta un’assenza programmata e i genitori hanno avvisato la scuola o non programmata. Cerchi di parlare col coordinamento di cooperativa per avvisare e, nel frattempo, sei nei corridoi della scuola a perdere un mare di tempo inutile, aspettando di sapere se è disponibile una sostituzione compatibile col tuo orario di assistenza. A un certo punto arriva il fatidico whatsapp che ti dice che dovresti essere già in un’altra classe, con un/a altro/a bambino/a e tu non hai nemmeno il tempo di scambiare due parole con il collega per sapere…”ma da chi sto andando? Cosa ha? Come mi devo comportare? Quali sono le strategie migliori? Cosa fare e cosa non fare assolutamente con lui/lei?”

Perché, sapete, noi abbiamo delle relazioni importanti con i/le nostri/e bambini/e e ragazzi/e, non sono un semplice servizio economico da gestire e non sono nemmeno una semplice diagnosi: non esiste un autismo o una sindrome di Down o un ADHD. Esistono storie uniche personali, in cui c’è una o più sindromi di base che ti possono dare un indirizzo, ma poi c’è la psicologia e l’ambiente sociale di ciascuno e tu ci devi entrare con tutte le scarpe, perché se non entri nel suo mondo, non si crea la relazione e senza di essa non c’è fiducia e non c’è assistenza, perché non capisci chi è, non capisci il suo potenziale, che è la base di ogni assistenza educativa per l’autonomia e la comunicazion che permette di adottare strumenti e strategie adatti individualmente. Ci vuole cura, attenzione, pazienza, competenza. Ci vogliono mesi e anni per ottenere risultati efficaci, per questo ci vuole la continuità.

Perciò cari Comuni, Municipi, Cooperative, prima di formulare certe delibere, risparmiare, accettare certi compromessi, mettetevi una bella mano sulla coscienza per capire che non siamo dei pacchi e che non stiamo facendo consegne. Qua c’è in ballo qualcosa di molto più serio e umano, delicato, fragile, sensibile che merita davvero rispetto, continuità, professionalità, dedizione, formazione continua, dignità economica, investimenti!!

Il nostro lavoro di oepac, asaf , educatore professionale o come lo volete chiamare è un lavoro bellissimo e serissimo ed è ora che sia riconosciuto come tale: c’è un’unica soluzione e si chiama internalizzazione”.

V.S.