Consultori: l’accesso dei Pro-Vita, contro la libertà di scelta

La storia ci insegna che nessun diritto è conquistato per sempre e il pericolo di arretrare, proprio su quelle posizioni conquistate più di 40 anni fa con l’approvazione della legge 194 per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, ci pone oggi irrimediabilmente di fronte all’urgenza di una nuova stagione di mobilitazione.

E’ notizia di pochi giorni fa l’approvazione in Parlamento di un emendamento a firma FI che consente alle associazioni Prolife di entrare a pieno titolo nell’organizzazione dei Consultori, organismi già di per sé fragili, rimasti come ultimi baluardi a difesa del benessere e del diritto delle donne all’autodeterminazione. L’idea, partorita nel mondo della destra più oscurantista che oggi governa il nostro paese, ha un’impostazione paternalistico-patriarcale secondo cui le donne, oggi, non sono capaci e non possono essere lasciate libere di scegliere sul proprio corpo, sul proprio destino, sul proprio futuro. In un processo più generale di aziendalizzazione di tutto il sistema sanitario nazionale dove si tagliano i fondi pubblici per dirottarli nel sistema privato, si bloccano le assunzioni e il turn over, si chiudono e accorpano strutture di presidio sui territori, i consultori subiscono l’ennesimo attacco rischiando di vedere completamente svuotata la necessaria funzione laica di supporto al benessere primario della donna. Il diritto all’autodeterminazione è ormai quasi inesigibile in molte regioni italiane. Il rapporto stilato dalla rete dei consultori ci lascia infatti una fotografia disastrosa della realtà sui territori, a partire dall’offerta, che contro ogni indicazione dell’Oms parla di 1 consultorio ogni 45000/75000 abitanti.

Per non parlare della disparità di prestazioni messe a disposizione nelle singole regioni in ognuna delle quali, si combatte una battaglia a sé, fra obiezione di coscienza con picchi di oltre il 70% e la difficoltà ad accedere, nei termini temporali stabiliti dalla legge, all’aborto farmacologico. Mentre la Francia, in linea con quanto indicato in una recente risoluzione del Parlamento Europeo, inserisce l’aborto fra i diritti fondamentali nella propria Costituzione, in Italia si pensa ad obbligare le donne che si recano nei consultori, una volta scoperta una gravidanza indesiderata, ad ascoltare il battito del feto, a subire ancora stigma e manipolazione, a vivere l’esercizio di un diritto umano, pilastro dell’uguaglianza di genere, sopportando solitudine e disapprovazione.

La storia ci insegna che il corpo delle donne è sempre stato terreno di battaglia. La strada per l’autodeterminazione è ancora lunga e sembra diventare sempre più accidentata. Oggi più che mai è necessario resistere, senza arretrare di un passo, perché quando i tempi si fanno bui è necessario gridare più forte.

CUB Donne Roma