Non si tratta di uno sciopero “ideologico” contro un governo di destra, né di una risposta spropositata ad una “manovrina”.
Rappresenta, invece, la legittima difesa contro la lotta di classe praticata dalla speculazione finanziaria, dai datori di lavoro e dai loro governi.
Inutile e dannoso continuare a non voler vedere, sentire, parlare.
Nella cosiddetta manovrina finanziaria, i segnali sono chiarissimi e facilmente identificabili:
- Tassazione – il principio costituzionale della progressività viene ancora di più negato con la cosiddetta flat tax, i percettori di reddito fisso che guadagno 85.000 euro annui arriveranno a pagare fino al 43% di tasse, mentre i professionisti che percepiranno un pari reddito, pagheranno solo il 15%. La stessa agevolazione, il 15% di tassazione, sarà estesa al reddito aumentato, fatto il raffronto con quello migliore degli ultimi tre anni. L’ennesimo condono (per importi dai 1.000 ai 3.000 euro), l’estensione del limite di prelievo del contante (fino a 5.000 euro) testimoniano la precisa non volontà di lotta all’evasione fiscale. La tassazione dei super profitti, 35%, in tutti quei settori che hanno speculato prima sulla pandemia e poi sull’economia di guerra, risulta largamente inferiore a quella praticata sui redditi da lavoro. Quindi chi più guadagna meno paga e, ancora una volta si ribadisce che chi ha reddito fisso e tracciabile subisce trattamenti fiscali differenziati e discriminatori;
- L’attacco al reddito di cittadinanza, che riguarderà circa 660.000 percettori, per i quali nel 2023 il reddito sarà previsto per un massimo di otto mesi e dal 2024 verrà tolto, rappresenta la risposta indiretta alla richiesta del salario minimo. La vergognosa reintroduzione dei voucher rende ancor più evidenti le intenzioni di questo governo rispetto al mondo del lavoro. Gli “occupabili” dovranno essere soggetti sempre più ricattabili e complici involontari del liberismo economico, favorito da tutti i governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi venticinque anni, che si basa sulla precarietà e sui bassi salari;
- Pensionati – Per chi è già in pensione, l’indicizzazione viene di nuovo stoppata (si tratta dell’adeguamento annuale all’inflazione, bloccato nel 2011 dal governo Monti e che dal 2023 sarebbe dovuto tornare 100% dell’indice di adeguamento previsto) e i circa 4,3 milioni e trecentomila interessati avranno l’assegno decurtato, mediamente di 1.200 annui, oltre a ciò che perderanno a causa dell’inflazione che, nell’ultimo mese, viaggia al 12%.