Sfruttati e sottopagati: la lotta dei riders

Dopo mesi di denunce e segnalazioni di irregolarità, dopo decine di infortuni anche molto gravi o mortali, la procura di Milano ha aperto un’indagine sullo sfruttamento nei servizi di food delivery (consegne a domicilio) per le grandi società come Uber Eat, Glovo, Foodora e Deliveroo.
Dopo le polemiche e le critiche che, negli ultimi anni, ha suscitato il sistema di reclutamento e l’organizzazione del lavoro delle piattaforme digitali, attualmente i riders sono assunti in appalto da cooperative, cioè utilizzano le app delle grandi piattaforme, le quali però non rispondono delle condizioni di lavoro. Il sospetto è che queste forme di lavoro nascondano fenomeni di caporalato e sfruttamento dei lavoratori. Dai controlli effettuati è emerso che, in alcuni casi, gli account vengono registrati da italiani o da cittadini stranieri residenti in Italia e, successivamente, l’app viene affidata a persone senza documenti o in attesa del permesso di soggiorno, che effettuano le consegne, pagando una percentuale del già misero compenso al titolare dell’account. Per alcuni di loro, questo è l’unico modo per assicurarsi un reddito per quanto misero.
L’altro aspetto che l’indagine intende monitorare riguarda il rispetto delle condizioni di sicurezza, infatti i riders non sono dotati di dispositivi di sicurezza (giubbotti catarifrangenti, divise adeguate al caldo o al freddo, luci, scarpe idonee), non hanno assicurazioni per danni a terzi, la manutenzione dei mezzi è a loro totale carico; inoltre, per arrivare ad una retribuzione dignitosa sono costretti a pedalare per molte ore, a velocità sostenuta, con ogni condizione atmosferica, anche contromano, dal momento che il rimborso chilometrico viene parametrato non alla distanza effettiva, ma a quella in linea d’aria.
Dopo un primo tentativo di coinvolgere le principali piattaforme digitali nella regolamentazione delle tutele minime da garantire ai lavoratori, finito in un nulla di fatto, il Governo uscente, ha tentato autonomamente una prima disciplina del rapporto di lavoro attraverso una piattaforma digitale, con il decreto legge n. 101/2019, pubblicato il 4 settembre sulla Gazzetta Ufficiale, che risulta tuttavia gravemente insufficiente, a dispetto delle promesse elettorali.
Finalmente viene estesa ai riders la copertura assicurativa INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali e, se iscritti alla gestione separata INPS, viene riconosciuta l’indennità giornaliera di malattia, l’indennità di degenza ospedaliera, il congedo di maternità e il congedo parentale.
Tuttavia, fatti salvi questi elementi positivi, il decreto non risolve il problema della natura giuridica del contratto, rinviando genericamente alla contrattazione collettiva il compito di definirla (cosa che le grandi piattaforme hanno già rifiutato di fare). Inoltre non viene eliminato il cottimo, anzi ne viene legittimato l’utilizzo.
La norma estende ai contratti di lavoro non subordinato le tutele previste dall’art. 2 del D. Lsg. 81/2015, attraverso il criterio della collaborazione etero-organizzata, adeguandosi a quanto stabilito dalla Corte d’Appello di Torino (Sent. n.29/2019), tuttavia non riconosce il legame di subordinazione, che garantirebbe una reale tutela ai lavoratori digitali. Inoltre lascia fuori tutti lavoratori digitali che non rientrano in questa fattispecie (i riders rappresentano circa il 10% dei lavoratori della gig economy, che occupa, in maniera temporanea e intermittente, circa 700.000 persone).
La retribuzione a cottimo non viene eliminata, ma viene introdotto un sistema misto tra paga oraria e cottimo: i fattorini possono essere pagati in base alle consegne effettuate, purché in misura non prevalente, inoltre viene fissata una retribuzione minima su basa oraria (non quantificata), ma solo nel caso in cui il fattorino accetti almeno una chiamata per ogni ora lavorata (cosa succede nei casi in cui il lavoratore non riceve alcuna chiamata, dato l’elevato numero dei riders?). La definizione di schemi retributivi che tengano conto delle modalità di svolgimento della prestazione viene demandata alla contrattazione collettiva.
Nessun cenno viene fatto ai riposi, al diritto alle ferie, all’orario di lavoro, al minimo salariale, alle tutele sindacali, né al diritto alla disconnessione per almeno 11 ore consecutive dall’ultimo turno di lavoro. Ancora una volta la montagna ha partorito un topolino!
Queste tipologie contrattuali sono la dimostrazione concreta di quanto le riforme neoliberiste del lavoro, per altro avallate dai sindacati confederali, abbiano sbilanciato totalmente i rapporti di forze a favore del capitale, frammentando completamente il fronte dei lavoratori.
Occorre ribaltare la narrazione che tende a relegare i riders nella gig economy, l’economia dei lavoretti, che li dipinge come studenti che cercano di arrotondare la paghetta; si tratta di lavoratori e lavoratrici costretti a sottostare, per necessità, ad una situazione di assoluto precariato, con retribuzioni bassissime e senza alcuna tutela. Lavoratrici e lavoratori che molto spesso hanno difficoltà a unirsi in un percorso di lotta, a causa del fatto che lo stesso algoritmo che organizza il loro lavoro li obbliga all’isolamento e alla competizione.
Solo attraverso l’organizzazione e il conflitto si possono rovesciare i rapporti di potere. Per questo la CUB sostiene la lotta dei lavoratori digitali per un salario equo e l’abolizione del cottimo, per la sicurezza, per il diritto al riposo e alla disconnessione, per l’abolizione del sistema di ranking, per il riconoscimento dei diritti sindacali.

La lotta per i diritti e la dignità del lavoro non si ferma!

CUB Roma – Via Ponzio Cominio, 56 Tel. 06 7696841206 76960856

 

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